“Nei campi pugliesi vidi un mondo che non avevo visto neppure in Camerun”


Quest'oggi vi proponiamo un approfondimento sulla situazione del caporalato e le rivolte che segnarono il primo passo verso la nuova legge

“I caporali, ex braccianti agricoli che hanno fatto carriera,venivano a prelevarci alle tre e un quarto di ogni giorno, ci scaricavano nei campi e ci riprendevano alle diciotto. Si muovevano a bordo di furgoni con nove posti a sedere, ma noi eravamo venticinque. Ci pagavano a cottimo: 3 euro e cinquanta per riempire un cassone da 3 quintali. Venivamo pagati in base al numero di cassoni riempiti durante la giornata. La paga media era di circa 25 euro al giorno. Da questi, però, dovevi togliere 5 euro per il trasporto dal campo in cui dormivamo a quello in cui lavoravamo, 3,50 per un panino e 1,50 per una bottiglia d’acqua. Dovevamo essere veloci, ma molti di noi non ci riuscivano. Si lavorava con 40 gradi”.

E’ così che Yvan Sagnet, nato 31 anni fa a Duala(Camerun), una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni conseguita nel 2013 al Politecnico di Torino, ricorda l’estate vissuta a Nardò, in provincia di Lecce, sei anni fa. In quel periodo aveva bisogno di soldi. Era arrivato in Italia e per ottenere il visto di studio aveva versato una fidejussione bancaria di 5 mila euro. Nel frattempo aveva vinto una borsa di studio.

“La borsa, però – racconta Yvan – ti viene assegnata solo se riesci a sostenere un certo numeri di esami entro l’anno e a me ne mancava uno. Per continuare a studiare in Italia avevo bisogno di soldi. Alcuni amici mi dissero che in Puglia, nei campi di pomodoro e angurie, avrei potuto trovare lavoro e guadagnare qualcosa. Quando arrivai alla Masseria Boncuri vidi un mondo che non avevo mai visto, neanche in Camerun. Nei campi, allestiti dal Comune, in tanti dormivano su materassi, c’erano solo cinque bagni per settecento persone. Per farti una doccia dovevi fare una fila di due ore. Il reclutamento e le modalità di lavoro nei campi le fissava il caporale, senza tutele.

Un lavoro massacrante, sotto un caldo insopportabile, con pochissimi minuti di sosta. Le Istituzioni sembravano assenti. Un giorno il caporale ci chiese di lavorare con tempi e modi diversi pomodori non destinati alla trasformazione, ma all’ insalata. Dovevamo raccoglierli ad uno ad uno, attenti a non spappolarli. Io e molti del mio campo ci ribellammo. L’insofferenza di molti era nell’aria già da qualche settimana. Era il 31 luglio. Ci fu uno sciopero a cui aderirono altri ragazzi di campi diversi dal mio. A darci una mano, ci furono solo la sindacalista, Antonella Cazzato della Cgil provinciale e alcune associazioni di volontariato.

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