Indesit lascia l'Italia: la crisi del Capitalismo familiare

 


Anche Indesit, un pezzo di storia italiana, un altro esempio di capitalismo familiare non è riuscita a sopravvivere alla crisi globale e a quello di sistema.
Un altro pezzo del “Made in Italy” ceduto agli americani della Whirlpool che acquisiscono il 60% dell’azienda ad un prezzo sinceramente che sembra un affare solo per Whirlpool stessa.
Cosa direbbe il capostipite della famiglia Merloni, vedere la sua creatura industriale in mano agli americani?
La famiglia Merloni è stata una delle più grandi dinastie imprenditoriali italiane che contribuirono, nel dopoguerra, alla ricostruzione e allo sviluppo sociale ed industriale del nostro Paese. E’ stata al servizio della collettività sia dal punto di vista aziendale sia da quello politico, senza che nessuno denunciasse il “conflitto d’interesse”.
La famiglia Merloni è stata esempio di quella linea della responsabilità sociale dell’impresa che trovava uno spazio nella via familiare al Capitalismo.
Infatti l’Italia, per decenni, ha potuto beneficiare, dal punto di vista economico, sia dell’intervento pubblico sia del contributo delle imprese familiari.
Purtroppo ora anche il Gruppo Indesit è stato venduto agli americani della Whirlpool perchè gli ultimi eredi Merloni non sono più in grado di andare avanti, dopo lunghi litigi e di aver indebolito l’azienda stessa. 

Ci si chiede con sempre più insistenza dove sono finite le grandi famiglie industriali come la Falck, i Marzotto, gli Olivetti? Ora tocca ai Merloni lasciare.
Ormai è in atto un’ involuzione del capitalismo familiare, la sconfitta di un sistema: gli eredi di queste famiglie non hanno saputo o non hanno voluto approcciarsi alle nuove politiche, al mercato globale e alla concorrenza.
Da anni che in Italia si registra un depauperamento del tessuto industriale radicato con il cervello e la proprietà nel nostro paese, senza che nello stesso tempo, si registrino espansioni significative all’estero.
L’Italia della manifattura sta scomparendo, la desertificazione industriale avanza, abbiamo sempre meno fabbriche.

Cosa deve ancora capitare affinchè il governo e tutti i soggetti imprenditoriali e sociali si rendano conto di questa desertificazione e agiscano di conseguenza?
Cosa deve ancora succedere affinchè si cambi davvero con una forte politica industriale e l’intervento coerente e decisivo dello Stato?
Le aziende chiudono, gli stranieri fanno quello che vogliono con i nostri gioielli mentre in Parlamento c’è chi pensa che il vero problema che ostacola la nostra competitività sia l’Articolo 18.

Le ragioni della crisi del nostro Capitalismo nostrano sono da trovare nel fatto che, per molti anni, si è negato la necessità di una politica industriale, soprattutto da parte del mondo imprenditoriale, perchè simbolo di dirigismo e, intanto, ci si appellava agli incentivi a pioggia, ai sostegni estemporanei, a stare in nicchie di mercato, e usare l’intervento pubblico solo per evitare il fallimento di aziende ormai decotte per salvare lavoratori e famiglie dal lastrico.

C’è bisogno che governo, imprenditori e sindacati capiscano la necessità di ristrutturare il nostro tessuto produttivo.
C’è bisogno di una vera politica industriale che investa sul futuro per stimolare innovazione e produttività. Una politica che rispetti con regole trasparenti il mercato e la concorrenza e per far crescere e promuovere un’occupazione fondata sullo sviluppo.

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