Il racconto della visita ai campi di sterminio nazisti


Il nostro iscritto, nonché candidato alla segreteria dei Giovani Democratici locale Simone Castelli è stato in Polonia, avendo la possibilità di entrare in un campo di concentramento. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.


Molti non hanno il coraggio di andarci, perché sanno già di soffrire per quello che vedrebbero, perché avrebbero paura di piangere, molti non ci andrebbero neanche perché purtroppo non gliene frega niente. 
Vorrei soffermarmi su questi ultimi. Paura di piangere? Non vedo il problema dove stia! 
Quando si è in quei luoghi è difficile non piangere, si incrocia tanta gente che si asciuga gli occhi ma nessuno viene giudicato perché si è tutti consapevoli di dove ci si trova, di dove si sta camminando. 
Su quella stessa terra umida e fredda, calpestata da milioni e milioni di deportati da tutta Europa, è impossibile restare indifferenti.
Io sono andato grazie ad un progetto intitolato "In Treno per la Memoria" nato nel 2005 da una richiesta di alcuni studenti di Lecco e organizzato ormai ogni anno da CGIL e CISL Lombardia per gli stessi studenti ma anche per lavoratori e pensionati.
Ogni volta sono più di 700 le persone provenienti da tutte le province lombarde che decidono di partecipare. Fra essi ci sono anche due delegazioni straniere, una francese e una croata.
Un viaggio preparato e curato nei minimi dettagli: incontri e discussioni con esperti in materia in preparazione alle visite, sia sul treno che nella città di Cracovia, concerti, visite guidate di Cracovia e dei campi, e altro.
Quest'anno inoltre, era presente anche una giornalista del Corriere della Sera perché si è voluto creare una sorta di redazione online che gestiva una pagina Facebook chiamata appunto "In Treno per la Memoria" dove ogni giorno degli alunni selezionati nelle settimane precedenti alla partenza, caricavano loro testi/articoli, foto e video. Io e un'altra ragazza eravamo gli addetti ai video. Ciò significava girare tutto il giorno con videocamere alla mano e alla sera, dall'orario di cena in poi, scaricare il girato, montare tutte le riprese e metterlo online.

Siamo partiti dalla Svizzera, dalla stazione di Chiasso. Appena arrivavi l'organizzazione ti forniva una busta contenente il programma del viaggio e due libri, uno sul tema di quest'anno, ovvero la deportazione femminile, e l'altro, intitolato "In Treno per la Memoria. Milano – Aushwitz", scritto da Dario Pirovano e Andrea Bienati, membro CGIL e organizzatore del viaggio il primo e, studioso della Shoah, docente di sociologia e membro del gruppo di criminologià all'Università Cattolica di Milano il secondo.

Vorrei abbandonarmi adesso ad alcune riflessioni di carattere più personale.
Quando sei all'interno dei campi non ci si rende conto più di tanto di dove ci si trova, ci si accorge di cosa si è appena visitato quando cominci ad avviarti verso l'uscita perché ripensi a tutto quello che i tuoi occhi hanno appena fotografato.
I due campi più famosi, sono quelli di Aushwitz e Aushwitz II-Birkenau, entrambi in Polonia nelle vicinanze di Cravovia hanno delle rilevanti differenze.
Il primo era un campo di concentramento, volto al lavoro dei deportati. Il secondo, invece, era un campo di sterminio ovvero un campo dove solo il 20% delle persone che arrivavano a bordo dei carri bestiame rimanevano in vita mentre le altre venivano mandate a morire subito dai medici delle SS.
Le differenze esistono ancora adesso, per il modo in cui sono stati utilizzati a scopo didattico. Nel campo di Aushwitz, quello con la celebre scritta "Arbeit Macth Frei" all'entrata, tutte le baracche che servivano per contenere i prigionieri sono state ristrutturate e adibite a museo storico.
Il campo di Birkenau, quello con i binari che entravano direttamente al suo interno ha mantenuto la struttura del vecchio campo di concentramento; gli unici lavori che sono stati fatti nel corso di questi anni hanno riguardato l'abbattimento delle baracche-dormitorio, la costruzione di un monumento ai deportati e la recinzione alle macerie delle camere a gas fatte saltare prima della Liberazione del campo per nascondere tutte le prove.
Sul monumento, al termine della visita, si è svolta una commemorazione conclusasi con il posizionamento di una corona di fiori da parte di italiani, francesi e croati sulla stele rappresentante la propria nazione. 
Nel corso di questa alcuni ragazzi hanno letto testi e abbiamo osservato un minuto di silenzio in ricordo delle vittime.
Una cosa che mi ha molto colpito del minuto di silenzio, è stato vedere la gente seduta per terra stremata dalla giornata alzarsi in piedi senza che nessuno le dicesse nulla e altri gruppi, anche stranieri, in visita al campo per conto loro che, passando dietro di noi, facevano cenno di fare silenzio fra di loro. 
Segno di massimo rispetto, non solo per noi che stavamo disputando un momento molto commovente, ma anche per i caduti.

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