Più fondi e risorse per i centri antiviolenza


I numeri sono alti, troppo alti: 127 donne uccise dai loro compagni, fratelli, mariti nel 2010, 137 nel 2011 e già 55 nel 2012. 

“I media li segnalano come omicidi passionali - spiega Tilt - storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. Si tratta invece di una pratica violenta di matrice non patologica ma culturale. Il nome che la identifica è femminicidio, neologismo in uso già da anni anche in Italia, che indica la distruzione fisica, simbolica, psicologica, economica, istituzionale della donna”.


Venerdì a palazzo Marino — il municipio di Milano — si è riunita la rete di associazioni che si riconosce sotto il cappello di Se non ora quando Milano. Sala piena, donne e uomini e qualche passeggino. Ci racconta dell'incontro Rita Querzé (Corriere della Sera, 12 maggio 2012)

Dopo una ventina di violenze sessuali nel giro di un mese solo nel capoluogo lombardo, i soprusi sulle donne diventano un’emergenza riconosciuta (e temuta). A Milano e non solo. L’ultimo caso è stato, giovedì scorso, quello di una maestra scampata per un soffio allo stupro da parte di un giovane magrebino, nella periferia Sud della città.

Il fenomeno esiste da sempre, più o meno sottotraccia. Ma questa volta c’è una consapevolezza nuova e condivisa dal basso. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, sostenitrice del movimento fin dai primi passi, ha scelto la platea milanese per chiedere fondi e risorse per i centri antiviolenza. «È necessario mettere i soldi per queste iniziative così preziose. Molte sono sull’orlo della chiusura — va al sodo Camusso —. Lo sappiamo, le risorse sono scarse. Ma il contrasto alla violenza sulle donne non può aspettare».

Gran parte dei centri antiviolenza in Italia sono organizzazioni non profit, che si finanziano per la metà attraverso donazioni di privati e per il resto con contributi pubblici, spesso finalizzati al raggiungimento di obiettivi concreti. Poi ci sono gli «sportelli istituzionali», come quelli legati alle Asl.
«I fondi devono servire a mettere in rete le diverse iniziative. È necessario unire gli sforzi, da una parte. Dall'altra contribuire al disvelamento del problema», continua Camusso.

Manuela Ulivi, coordinatrice della Casa per le donne maltrattate di Milano che fa parte della rete Dire, comprensiva di 60 associazioni non profit in giro per l’Italia, ha preparato una lettera che martedì sarà consegnata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Secondo la nostra triste contabilità, dal 2005 alla fine del 2011, quindi senza tenere conto di quanto avvenuto negli ultimi mesi, sono state uccise 777 donne. Questa strage silenziosa va fermata. Ma più cresce il bisogno, più il senso di impotenza diventa difficile da sopportare. Alcuni dei nostri centri, come quello di Mantova, sono sull’orlo della chiusura».

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